SIAMO UOMINI O MASCHERE?

L’archetipo della Persona nella psicologia Junghiana

Nel precedente articolo, in merito alla definizione degli archetipi, abbiamo già parlato del fatto che la psiche per Carl Gustav Jung è composta, oltre che dalla parte inconscia, individuale e collettiva, anche dalla parte conscia. E proprio la dinamica tra queste due parti è ciò che permette all’individuo di affrontare un lungo percorso per realizzare la propria personalità, in un processo che Jung stesso denomina “individuazione” e che permette ad ogni essere vivente di diventare ciò che è destinato ad essere. In questo processo, l’individuo incontrerà e si scontrerà con quelle organizzazioni archetipiche inconsce della propria personalità, attraverso le quali egli potrà dilatare la propria coscienza (ovviamente nella misura in cui sarà disposto ad affrontarle). Con ciò ci riferiamo agli archetipi della Persona, dell’Ombra, dell’Animus e dell’Anima, del Sé.

Sappiamo che  Jung amplia ed approfondisce il concetto di inconscio freudiano connotandolo positivamente e non contrapponendolo all’io cosciente. Secondo Jung infatti, conscio ed inconscio si completano reciprocamente (nel processo di individuazione), formando il Sé come punto culminante del percorso di realizzazione della personalità. Punto nel quale si portano ad un’unificazione tutti gli aspetti consci ed inconsci del soggetto. Ma nell’inconscio non sono presenti soltanto tutti i contenuti rimossi delle nostre esperienze, ma anche i contenuti inconsapevoli ereditati, tra cui le memorie degli antenati (Jung parla di karma impersonale che si trasmette dai genitori ai figli) e gli archetipi (dal greco “arché” = inizio, origine, comando, potere, e “tipos” = impronta, segno). Jung introduce, quindi, il concetto di inconscio collettivo come derivazione della struttura ereditata del cervello, in cui sono presenti istinti e archetipi, ovvero contenuti universali che appaiono regolarmente nelle persone già in età infantile e che non sono quindi riconducibili all’esperienza individuale. In questo articolo ci soffermeremo ad analizzare il concetto Junghiano di Persona.

Persona deriva dal latino: “per” = attraverso “sonar” = risuonare. Così era chiamata in antichità la maschera indossata nelle rappresentazioni teatrali, che oltre a coprire il volto dell’attore, funzionava da amplificatore per la voce e serviva al pubblico per identificare il personaggio. Per questo, il termine Persona è volutamente perfetto per indicare quella parte che ciascun individuo mostra di sé, quella maschera sociale, quell’aspetto pubblico che ogni uomo o donna utilizza per apparire, nel rispetto di regole e convenzioni, e rispecchia ciò che ognuno di noi vuol rendere noto di sé agli altri. Questo non vuol dire che tutto quello che si è disposti a mostrare, corrisponda a ciò che realmente si è, anzi, il più delle volte è esattamente il contrario. Questo perché la Persona è la maschera, o le maschere, che l’individuo indossa per rispondere alle esigenze delle convenzioni sociali; è ciò che egli vuole mostrare di sé agli altri per essere accettato, incluso, per rispondere adeguatamente alle  funzioni assegnatagli dalla società, ai compiti e alle aspettative che essa si attende da lui (e che generalmente anche egli si aspetta da se stesso), ai ruoli sociali che ricopre.

La facciata di una casa non appartiene a chi ci abita, ma a chi la guarda”, recita un detto orientale. L’opinione degli altri ci condiziona su quello che noi mostriamo di noi stessi e questo conflitto occupa uno spazio centrale in psicologia ed in particolare nel pensiero junghiano. Perché in realtà, la maschera non finisce per far altro che nascondere la vera natura dell’individuo, la sua più profonda personalità come espressione del Sé, e pertanto non può non essere tenuta in considerazione all’interno di un percorso di consapevolezza di sé e delle proprie dinamiche inconsce. E’ la faccia sociale che l’individuo presenta al mondo: un tipo di “camuffamento”, disegnato da un lato per creare una precisa impressione sugli altri, e dall’altro per nascondere la vera natura. È, quindi, la funzione dell’ego che si trova tra l’esperienza come individuo e la società, e come tale ci permette di interagire con il mondo; durante la crescita, lo sviluppo di una Persona sociale flessibile è una parte vitale dell’adattamento, e della preparazione, alla vita adulta nel mondo sociale esterno. Tuttavia, l’ego non è che una piccola parte del più ampio sé, di conseguenza, la Persona ci costringe a interagire con il mondo in maniera parziale, lasciando vari aspetti del Sé non riconosciuti.  Di fatto i ruoli che regolano la vita sociale sono altrettante maschere prodotte dall’inconscio collettivo e conferiscono, di conseguenza, alla Persona un enorme potere: non si può indossare una maschera senza esserne condizionati. Così, a lungo andare, la Persona modifica la struttura interiore di chi la porta. L’identificazione con la Persona, cioè con il proprio ruolo sociale, è in contrasto, quindi, con lo sviluppo psicologico e genera un conflitto fra due istanze, quella dell’essere se stessi secondo la realtà dell’anima e quella dell’adeguarsi all’ambiente sociale, secondo le esigenze espresse dalla Persona.

Ma la personalità cosciente (Persona) è anche un segmento, più o meno arbitrario, della psiche collettiva. Jung infatti scrive: “Se infatti vogliamo arrischiarci a distinguere  esattamente quale parte del materiale psichico va riguardata come personale e quale come impersonale, ci troviamo subito in un gravissimo imbarazzo, perché anche del contenuto della Persona dobbiamo dire, tutto sommato, quanto dicemmo dell’inconscio collettivo; cioè, che è collettivo. … Tutto sommato, la Persona non è nulla di “reale”. È un compromesso tra l’individuo e la società su “ciò che uno appare”. L’individuo prende un nome, acquista un titolo, svolge una funzione ed è questa o quella cosa. Sicuramente tutto ciò è reale, ma in rapporto all’individualità del soggetto in questione è come una realtà secondaria, un mero compromesso, a cui talvolta altri partecipano ancor più di lui. La magia del nome e altri piccoli privilegi “magici”, come un titolo o cose del genere, procurano il prestigio necessario a dar vita a questo compromesso. Ma sarebbe ingiusto fermarsi a questo punto, senza riconoscere in pari tempo che nella caratteristica scelta e definizione della Persona è già insito qualcosa d’individuale e che, nonostante l’esclusiva identità della coscienza dell’Io con la Persona, il Sé inconscio, la vera e propria individualità, è sempre presente e si fa notare, se non direttamente, almeno indirettamente”. Quindi, sebbene la coscienza dell’Io si identifichi inizialmente con la Persona, cioè con quella figura di compromesso sotto la quale ciascuno appare di fronte alla collettività, il vero Sé inconscio non può venire totalmente rimosso, né possono essere rimosse le sue manifestazioni.

Nel quotidiano tutto questo si traduce in quel disagio che percepiamo dentro di noi e che nasce da un’incongruenza. L’incongruenza fra il pensare una cosa e dirne un’altra; fra il voler fare una cosa e fare qualcos’altro ancora. Si crea così una distonia e un’interruzione nella connessione con la nostra vera essenza.

Quando nasciamo, in quell’istante, siamo noi stessi. Piangiamo perché abbiamo freddo, abbiamo fame,  siamo spaesati, ma il calore del petto di nostra madre ci conforta, ci fa sentire al sicuro e protetti. Ma, mano a mano che cresciamo, i nostri genitori iniziano ad avere aspettative nei nostri confronti, progetti per noi (che, in realtà, molto spesso sono i  loro progetti non realizzati). Veniamo educati a compiacere, a non essere amati per quello che siamo ma per quello che facciamo, perché “siamo bravi”, “siamo buoni”, siamo tante altre cose… La famiglia, la società, la scuola ci addossano una serie di schemi a cui ci adattiamo lasciandoci condizionare; finiamo per reagire a ciò che accade intorno a noi e dentro di noi, piuttosto che agire, liberi di essere e di esprimere noi stessi.

Insomma, per essere all’altezza dei loro sogni, ci tocca fingere, indossare una maschera. Così scendiamo a compromessi, diventiamo accondiscendenti, compiacenti, reprimiamo le nostre emozioni (soprattutto quelle che vengono considerate socialmente inaccettabili, come la rabbia, l’aggressività, il dolore, ecc.); rinunciamo a dire la nostra verità, in favore di frasi di circostanza, di forme di adulazione, di mezze verità, se non addirittura di bugie, di scuse, di giustificazioni… Questo perché il nostro desiderio più grande è quello di essere amati, accettati, “visti”, accolti all’interno del nostro nucleo familiare o di un gruppo. Ma in questo modo paghiamo il prezzo più alto: la perdita della nostra autenticità, della nostra Essenza, del nostro progetto di Vita.

“Non sono tutto ciò che vedi, né vedi tutto ciò che sono”. E questo è quello che accade, ma attraverso un percorso di consapevolezza e di crescita, come quello delle Costellazioni Familiari, possiamo entrare in contatto e rendere manifeste le dinamiche inconsce personali e del nostro sistema familiare. Possiamo comprendere come la società, la religione, l’istituzione scolastica, ma anche l’evoluzione umana,  le vicende passate dell’umanità,  hanno avuto ed hanno un’influenza su di noi  e ci portano ad agire comportamenti e ad attuare scelte, spesso solo apparentemente liberi. Abbiamo la possibilità di vedere quelle maschere che sono diventate la nostra corazza e la nostra fuga, nell’illusione di poterci proteggere e di non essere più feriti. Ci viene data la possibilità di esplorare e di entrare in contatto profondo con le radici del nostro comportamento e del nostro essere, di confrontarci con noi stessi, con la nostra interiorità, con la nostra Anima, e di trasformare, quindi,  il nostro agire e la nostra vita. Attraverso questo strumento raggiungiamo la nostra felicità.

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