I CONDIZIONAMENTI

Avete mai avuto la sensazione di fare un lavoro che non sentite “vostro”?

Vi è capitato di avere relazioni che non vi rendono felici, ma rispetto alle quali vi accontentate, perché c’è di peggio?

Oppure sentite dentro di avere desideri, aspirazioni – come un bel viaggio, una bella casa, un progetto differente da ciò che fate – che dentro vi fanno gioire, ma che subito dopo vi fanno dire: ”no, non posso, come faccio a mollare quello che ho!”.

C’è una serie infinita di esempi da fare rispetto ai condizionamenti che sono protagonisti della vita di tutti gli individui.

Cos’è un condizionamento?

E’ un comportamento che ci è stato indotto dall’esterno e che noi abbiamo interiorizzato. C’è una grossa differenza tra ciò che viene in-dotto (cioè portato dentro) e ciò che viene e-dotto (cioè portato fuori).

In questo senso l’educazione dovrebbe essere il contrario del condizionamento. I genitori, gli insegnanti, i formatori di qualsiasi tipo (allenatori, formatori spirituali, maestri di canto, di danza, di nuoto, ecc.) e tutte le persone che fin da piccoli si incontrano per “crescere”, più che in-culcare, in-durre, in-serire comportamenti, regole, parametri, procedure, modelli, dovrebbero avere il compito di tirar fuori il talento naturale dei bambini, far es-primere le loro potenzialità, studiarli, osservarli, conoscerli e capirli in profondità per conservarne l’unicità.

Questo è il metodo proposto e praticato da Socrate, la maieutica: noi non impariamo delle cose nuove, semplicemente veniamo aiutati a ricordare ciò che sappiamo già.

Abbiamo dentro di noi (e siamo) molto di più di quello che crediamo, o che ci hanno fatto credere: più riusciremo a liberarci dai condizionamenti (sociali, familiari, culturali) lasciando libero di uscire il nostro vero Sé, più saremo felici.

Le informazioni negative che riceviamo sono come delle frecce che ci colpiscono e avvengono ogni volta che qualcuno ci tratta male, ci risponde male, non ci ascolta, non ci considera, non ci accoglie, non ci comprende, ci offende…

Fin da quando siamo piccoli veniamo infilzati da queste frecce, le accumuliamo diventando dei puntaspilli giganti!

Le frecce fanno male quando entrano, perché ci colgono impreparati e indifesi, non abbiamo la possibilità di difenderci, soprattutto quando siamo piccoli. Fanno ancor più male per tutto il tempo che rimangono infilzate, perché ci rendono ipersensibili in quel punto e magari basta poco a farci scattare sulla difensiva; può accadere che anche persone che non sono responsabili della nostra ferita, ma che accidentalmente sfiorano la freccia, ci facciano comunque male e rischino di prendersi la rabbia e il dolore accumulati fino ad allora. Queste sono le conseguenze dei condizionamenti ricevuti.

Ma soprattutto le frecce fanno male quando si tolgono, perché lacerano ancora di più, perché ci vuole un colpo secco e deciso, perché a volte si ha paura del dolore che si proverà, preferendo stare nella “zona confort” conosciuta tenendosi le frecce infilzate: si pensa di soffrire meno, piuttosto che pensare che forse si può essere felici con Sé stessi.

Prendersi cura di Sé, assumersi la responsabilità della propria vita e della propria felicità, vuol dire cominciare a togliersi le frecce una ad una, esprimendo tutto il dolore e la rabbia che tratteniamo, per poter guarire le ferite in tutta la loro profondità.

Quando siamo bambini facciamo di tutto per essere accettati: veniamo al mondo completamente inermi e nella totale dipendenza dai nostri genitori (principalmente dalla madre) e l’unica cosa che possiamo fare per sopravvivere è fare in modo di essere visti, accolti, nutriti per il fatto che siamo “utili”.

Ci si sente in dovere di dare ai nostri genitori e alla nostra famiglia tutto quello di cui hanno bisogno.

Per poter esistere smettiamo di essere: di fatto, “diventiamo” qualcun altro, accettiamo di prendere un posto, un ruolo, una funzione, all’interno di un sistema. E ovviamente tutto questo avviene ad un livello inconscio, molto profondo: per questo crescere significa liberarsi, comprendere e ricordare chi siamo veramente.

Probabilmente è un passaggio obbligato, in qualche modo è il “prezzo da pagare” per l’autenticità: facendo l’esperienza di essere qualcun altro, trovi la forza per essere te stesso.

Nascere, vivere e respirare non portano automaticamente all’autenticità: quello è un compito e una missione da svolgere il più velocemente possibile, che a poco a poco ci insegna ad amarci, per poi poter amare anche gli altri.

Nasciamo due volte: la prima volta ci partorisce nostra madre, la seconda volta ci partoriamo noi stessi. E forse siamo liberi di rinascere a noi stessi tutte le volte che vogliamo, tutte le volte che è necessario per raggiungere sempre di più la vera autenticità della nostra vita.

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